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In questa guida spieghiamo come funziona il rimborso spese dei dipendenti, un argomento che in apparenza può sembrare di facile intuizione, ma che presenta delle complessità. Questo per via del fatto che esistono diverse tipologie di rimborso, e perché la cosa può complicarsi per via della deducibilità e della tassazione.
Altri argomento da approfondire è quello relativo al rimborso inteso come integrazione dello stipendio. Di riflesso, conviene iniziare da una definizione di rimborso spese e poi proseguire con le altre nozioni rilevanti.
Cosa Sono i Rimborsi Spese
Quando si parla di rimborso spese si fa riferimento ai costi affrontati da un lavoratore durante lo svolgimento del proprio incarico. In questi casi il lavoratore fornisce un vero e proprio anticipo di tasca propria, dato che il pagamento delle spese spetta all’azienda o al datore di lavoro.
Questo deriva dal fatto che i costi sono stati affrontati dal lavoratore a beneficio dell’azienda. Dunque è l’impresa a dovere riconoscere al dipendente una somma a titolo di rimborso relativa a queste spese.
Tipi di Rimborsi Spese
Esistono diversi modi per classificare un rimborso spese, e si comincia dalla distinzione tra rimborsi per trasferte entro i confini comunali e al di fuori di questi confini.
In generale, si parla di trasferta quando l’attività lavorativa viene svolta al di fuori del Comune che risulta essere la sede di lavoro, come stabilito dalla C.M. n. 207/E/2000. Bisogna quindi individuare la sede di lavoro per definire la trasferta ed il trattamento delle relative indennità.
Trasferte nel territorio comunale
Al lavoratore verranno rimborsate tutte le spese sostenute al di fuori del proprio posto di lavoro. Si parla dunque del costo dei biglietti per i mezzi pubblici, il carburante per l’auto e anche le spese per i pasti. Queste verranno riconosciute solo nel caso in cui il contratto preda il vitto a carico del datore di lavoro.
L’indennità è sottoposta in capo al dipendente alla tassazione ordinaria, ad eccezione delle spese per il trasporto pubblico. Infine, è consentita una deduzione dei costi relativi all’alloggio e al vitto nel limite del 75% dell’importo complessivamente sostenuto..
Trasferte al di fuori del territorio comunale
L’art. 51 comma 5 del D.P.R. n. 917/1986 disciplina il trattamento fiscale in capo ai lavoratori dipendenti ed assimilati delle indennità e dei rimborsi spese per le trasferte fuori dal territorio comunale, individuando tre sistemi di rimborso. Di conseguenza, li tratteremo nel dettaglio qui di seguito.
Rimborso a piè di lista
Si inizia sottolineando che queste spese non sono soggette a tassazione, per via del fatto che sono state sostenute al di fuori dei confini comunali. Detto ciò, il rimborso a piè di lista prevede la presenza di un documento, nota spese, all’interno del quale andranno indicate le varie spese sostenute dal lavoratore. La nota spese viene consegnata al lavoratore dall’azienda stessa, in bianco. Al termine dell’incarico, il professionista dovrà compilarla riempendo i vari campi, firmarla e riconsegnarla all’azienda.
Tra le varie informazioni da riportare all’interno della nota troviamo i dati anagrafici, insieme alla data e alla località relative alla spesa. Naturalmente ogni singola spesa andrà giustificata sulla nota, inserendo anche l’entità esatta dell’importo. Il rimborso verrà corrisposto solamente nel caso in cui vi siano fatture, scontrini o ricevute a testimonianza delle spese.
Inoltre l’azienda paga soltanto le spese autorizzate o inerenti all’attività aziendale. Nella lista delle possibili spese rimborsabili figurano vitto e alloggio, viaggi e trasporti.
Rimborso forfettario
Il rimborso spese di tipo forfettario è una pratica più semplice da gestire per l’azienda, ma anche per il lavoratore. In sintesi, la prima corrisponde al secondo un rimborso fisso mensile, la cui entità può variare a seconda degli accordi. Non importa quali spese affronta il lavoratore, perché il rimborso non cambia e le spese non devono essere giustificate.
Se, per esempio, il rimborso previsto è di 500 euro, e il dipendente spende di meno, ciò che rimane di quella somma non deve essere restituita. Allo stesso tempo, però, se il dipendente spende più di 500 euro, dovrà mettere di tasca propria l’eccedente.
Quindi sta al lavoratore capire come gestire il rimborso forfettario, e magari come ricavare da esso qualcosa da mettere da parte.
Vanno specificati alcuni concetti. In primo luogo, così come nel caso precedente, anche i rimborsi forfettari non fanno reddito, ma solo se si trovano entro certi limiti. Si parla di un limite di 46,48 euro al giorno o di 77,47 euro per le spese sostenute in un paese estero. Per la società, invece, sono deducibili per intero e senza limite. Non sono però deducibili ai fini Irap, cosa che invece accade con quelli a piè di lista.
Rimborso misto
Come spiega il suo stesso nome, questo rimborso spese è un misto tra il rimborso a piè di lista e quello forfettario. Questo significa che è possibile stabilire, per esempio, che la lista andrà a coprire solo il vitto o solo l’alloggio. Con questo sistema misto, però, il limite del rimborso forfettario che non fa reddito viene ridotto di un terzo. La riduzione arriva fino a due terzi, nel caso il rimborso a piè di lista includa sia il vitto che l’alloggio.
Rimborso Spese e Stipendio Mascherato
Non sono pochi i casi di aziende che in Italia impiegano la pratica dello stipendio mascherato. Questa pratica consiste nell’usare il rimborso spese come un’integrazione dello stipendio, sulla quale però l’azienda non andrà a versare i contributi previdenziali. Di riflesso, si tratta di un comportamento che andrà a discapito dello stesso lavoratore. Risulta essere possibile fare un esempio concreto per capire meglio come funziona questa pratica.
Un dipendente potrebbe ricevere uno stipendio di 1.500 euro, suddiviso in 1.000 euro in busta paga e in 500 euro di rimborso spese mensile. Al dipendente poi toccherà compilare una falsa nota spese per un totale di 500 euro. Da un lato il lavoratore finisce effettivamente per percepire la somma mensile concordata in fase di assunzione. Dall’altro lato, però, su quei 500 euro non verranno calcolati il Tfr, trattamento di fine rapporto, e i contributi previdenziali.
Rimborso Spese e il Pagamento in Contanti
Il rimborso spese è pagabile in contanti. In base a quanto stabilito dall’Ispettorato nazionale del Lavoro, sollecitato da Confindustria, il rimborso spese può essere pagato al lavoratore in soldi contanti. Questo significa che l’azienda non ha un obbligo in termini di tracciabilità del pagamento di queste somme. In sintesi, le cifre che non rientrano direttamente nella retribuzione dello stipendio non devono essere per forza soggette ad un versamento tracciabile. Questo obbligo, infatti, scatta soltanto quando si parla degli stipendi, dunque esclude del tutto il pagamento del rimborso spese. Di contro, resta comunque in piedi il limite di legge relativo all’importo massimo pagabile in contanti.